2021: viaggiare in poltrona attraverso i libri

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Lo scorso anno abbiamo ripreso a viaggiare e di cose bellissime ne abbiamo viste parecchie. All’inizio di gennaio però ero così sconfortata per le prospettive “turistiche” dei mesi successivi che mi sono fatta un piano di compensazione basato sui cosiddetti “viaggi da poltrona”, quelli che si fanno cioè comodamente sul nostro divano leggendo o guardando prodotti di intrattenimento ambientati in luoghi che vorremmo visitare o di cui vorremmo approfondire la conoscenza.

Mi soffermerei sulla parte delle letture. Se ora alcuni di questi libri trovano uno spazio in questo povero blog, da me totalmente ignorato per lunghi periodi, è sicuramente oltre che per lo stile di scrittura, la caratterizzazione dei personaggi e la trama avvincente, soprattutto per la capacità degli autori di rendere evocativo e insieme realistico il contesto geografico in cui accadono gli accadimenti narrati.

Alcune location, diventano la storia stessa, il punto centrale attorno cui tutto capita; altre invece fanno solo da sfondo alle vicende dei protagonisti. In entrambi i casi, mi sono piaciute tantissimo come ne sono uscite su carta e quindi ve ne parlo. Tra queste, ci sono luoghi che ho già visitato e visto con i miei occhi, e altri che sogno di vedere e che mi sono sembrati più vicini grazie alle parole degli scrittori che li hanno scelti come ambientazioni.

Ecco i più significativi, non in ordine di preferenza ma in ordine cronologico di lettura.

1) La TRILOGIA DELLA PIANURA di Kent Haruf.

Nel frontespizio del primo libro, Il canto della pianura, l’autore scrive:

“Questo libro è per chi ama spostarsi solo con il pensiero, meglio se in poltrona e sotto una coperta a scacchi rossi e blu, per chi riesce a sentirsi a casa anche solo con una finestra aperta sul cielo, per chi cerca su Google Maps i luoghi dei libri, meglio se immaginari, e per chi ha deciso di affidarsi al tempo, nella convinzione che lo spazio possa sempre tradirlo”.

Ora, se il buongiorno si vede dal mattino, potrebbe essere che valga la stessa regola anche per il buongiorno “letterario” annuale. Queste dedica è stata la prima cosa che ho letto nel 2021. Le pagine successive mi hanno portata in Colorado, uno Stato visitato in minima parte un paio di anni fa e che associo a un territorio verdissimo, pioggia a catinelle, strade meravigliose costeggiate da laghi e montagne. Molto diverso con il Colorado raccontato da Haruf, che è quello di una vallata sconfinata, di estate torride, di “redneck”, di piccoli paesini in cui tutti conoscono tutti e in cui il termine “comunità” è più vero che mai, nel bene e nel male.

Questa trilogia (di cui io ho apprezzato soprattutto i primi due capitoli perché i personaggi ritornano e vi è un’evoluzione della loro storia) è davvero una pietra miliare nella cultura di chiunque ami gli Stati Uniti e tutto ciò che caratterizza i pregi e i difetti dei suoi abitanti.

La cittadina, Holt, frutto della fantasia dell’autore, credo di averla attraversata mentalmente mille volte ogni volta che il pensiero è corso alla cosiddetta Real America.

2) La TRILOGIA DI VENTI DI TEMPESTA di Charlotte Link.

Giuro che non sono fissata con le trilogie. Anzi! E’ un caso che i primi libri letti lo scorso anno fossero storie composte da più volumi.

La particolarità di questa, in particolare, è che si tratta di una saga familiare nella Germania del ‘900 che inizia con la Prima Guerra Mondiale e termina con il Crollo del Muro di Berlino e racconta le vicende di una donna, emancipata e determinata, in pratica fichissima quanto odiosa, che diviene, tra mille difficoltà legate al periodo storico e al genere femminile, capofamiglia e imprenditrice di successo.

La location principale della storia è Monaco di Baviera, dove Felicia si trasferisce e dà l’avvio al suo impero, ma i luoghi che più hanno attirato la mia attenzione durante la lettura sono la Prussia Orientale, ora la zona della Lituania e Lettonia, e Gerusalemme.

La Prussia e Lulinn, la tenuta di famiglia dei Degnelly è paragonabile, per la protagonista, alla Tara della ben più celebre Rossella O’Hara. Felicia rimarrà incatenata a quel luogo per tutta la vita, anche quando vi verrà inesorabilmente e definitivamente strappata via.

Per Gerusalemme posso dire soltanto che un personaggio trascorrerà un po’ di tempo in quella città. Questo è uno dei tanti passaggi evocativi con cui la Link ne parlerà:

“C’era una luce impossibile da descrivere, aveva visto risplendere il cielo, senza sapere se stesse sognando, era rimasta inebriata dal khamsin, quel vento caldo del deserto che poteva portare alla pazzia le persone più ragionevoli. Durante le lunghe serate tiepide si era seduta nella hall dell’albergo a bere vino e ascoltare le voci della notte, una notte così piena di vita che sembrava un delitto trascorrerla dormendo…. Occidente e Oriente si univano, ebrei, cristiani e musulmani cercavano la collaborazione. Storie e culture millenarie si incrociavano e si mescolavano. Tutto qui sembrava pieno di estremi: la terra, il cielo, la luce, la gente, l’odore di strade e vicoli, e quello portato dal vento del deserto”.

Chiudo con una riflessione che non trovo mai banale e che mi porta a riflettere sulla nostra formazione e sulla passione che dovrebbe caratterizzare lo studio del passato, soprattutto quello più prossimo: a volte la storia andrebbe studiata anche sui libri di narrativa, oltre che su quelli di scuola.

3) SANGUE INQUIETO di Robert Galbraith

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Inghilterra. Poteva mancare il regno di Sua Maestà la Regina da un elenco di location di libri che mi sono piaciuti da matti? Ovviamente no! Se poi il libro è firmato Galbraith (alias Rowling), ha per protagonisti Cormoran Strike e la socia Robin Ellacot, abbasso le armi, alzo bandiera bianca e mi arrendo!

Diversamente dai precedenti, questo capitolo della storia non è ambientato esclusivamente nella capitale inglese, bensì spazia fino alla tanto sognata (da me) Cornovaglia, luogo in cui il burbero detective è chiamato a indagare sul suo primo cold case, ovvero la scomparsa di una donna sparita misteriosamente 40 anni prima e non ci sono molti passaggi sulla capitale (o ce ne sono, ma in misura decisamente minore rispetto al numero cui ci avevano abituato i volumi precedenti). Non disperate però perché se amate tutta la Gran Bretagna, troverete pane per i vostri denti.

“Più a ovest si spingeva, più il paesaggio si colorava di verde e la vegetazione si faceva lussureggiante. Robin, che era nata nello Yorkshire, era rimasta sorpresa dal vedere, a Torquay, delle palme crescere sul suolo inglese. I viali serpeggianti, la macchia rigogliosa, le piante quasi tropicali avevano lasciato senza parole una come lei, cresciuta tra colli e aride brughiere dal profilo ondulato. Poi, alla sua sinistra, il mare brillava come argenti vivo, vasto e scintillante come una lastra di cristallo, e il profumo di salsedine si mischiava al sentore agrumato dell’acqua di Colonia acquistata in fretta (…). 

Arrivò a Falmouth alle undici e cercò un posto lungo strade affollate di turisti, superando porte di negozi zeppe di giocattoli di plastica e pub sopra i quali sventolavano bandierine e facevano mostra di sé fioriere multicolori. Dopo aver parcheggiato proprio al Moor – una grande piazza del mercato al centro della città -, vide che sotto gli sgargianti orpelli del periodo estivo Falmouth conservava anche antichi, imponenti palazzi dell’Ottocento…”.

L’Inghilterra di Galbraith è sempre incredibilmente affascinante, anche quando serve a fare da sfondo a una serie di efferati omicidi. Ricordo ancora oggi la capacità della scrittrice di raccontare perfettamente Londra nella saga di Harry Potter ambientata, per la maggior parte del tempo, ben lontano dalla città o in angoli immaginari della stessa (Diagon Alley, il Ministero della Magia, Grimmauld Place, giusto per citare i più famosi).

Non so voi, ma io aspetto con ansia e ansiolitici il prossimo romanzo della saga e lo sviluppo della relazione tra Cormoran e Robin!

4) LA SERIE DEL DESERTO di James Anderson

Torniamo negli Stati Uniti, ma questa volta andiamo nel deserto dello Utah, dove Anderson ambienta Il diner nel deserto e Lullaby Road (ne manca ancora uno all’appello per chiudere la Trilogia).

A metà tra Lansdale (il mio scrittore di noir prefe) e Haruf (sì, quello di qualche riga fa), Anderson mi ha completamente conquistata, divertita e commossa. Ho letto entrambi i romanzi in tipo due giorni e qualsiasi attività che mi costringesse a interrompere la lettura mi sembrava un affronto personale e un ostacolo alla mia felicità.

Il deserto è il protagonista di questa storia. E’ sconfinato, implacabile, ma anche tanto familiare.

Anderson ambienta la vicenda di Ben Jones, burbero camionista dal cuore tenero e la capacità di finire in guai assurdi, quasi esclusivamente sulla statale 117, che esiste davvero e che si trova un po’ a sud della zona di Salt Lake City. Il primo capitolo de Il diner nel deserto si chiude con queste parole.

“L’autostrada si allungava nel sole di fronte a me. Era mia e ne ero felice. Il fatto che lo fosse perché nessun altro la voleva non mi infastidiva. Mentre i freni sibilavano, lanciai un ultimo sguardo al diner, poi rientrai sulla 117 e diedi inizio al resto della mia giornata”.

Il resto della giornata di Ben, diventa il resto della nostra avventura. Percorreremo con lui quella strada innumerevoli volte e non ci stancheremo mai di quei paesaggi e della compagnia dell’autista che ama e conosce quei luoghi e i suoi abitanti più della sua vita.

Mi piacerebbe riportare altri brani tratti dalle pagine di Anderson ma dovrei copiare gli interi libri e mi rendo conto che potrebbe essere fuori luogo. Potete decidere però di fidarvi di me e iniziare a leggerli. Provate e poi struggetevi dalla voglia di andare a cercare la vostra Road 117 in qualche assolato pezzo di deserto dell’Ovest.

Lo Utah è forse lo Stato americano che più ho amato. I suoi parchi, le sue strade, i suoi motel coincidono con l’idea del West che tutti noi abbiamo in mente e la superano. La Monument Valley, che si trova in Arizona, è la classica immagine di quando pensiamo ai cowboy, alla guerra bianchi-pellerossa, a John Wayne e non delude quando la si vede dal vivo ma è lei, esattamente quello che ci aspettavamo di trovare. Invece lo Utah no. Chi ci è stato ti dirà che è impossibile descriverlo a parole ma voi penserete che si tratti di un’esagerazione e che il deserto è deserto e i Parchi dell’ovest si assomigliano tutti. Nulla è più sbagliato di questa idea.

Al di là della vicenda, lo stile di scrittura e la caratterizzazione dei personaggi, La serie del deserto è forse la lettura che più ho amato durante lo scorso anno e sono in fremente attesa dell’ultimo volume che spero non si faccia troppo desiderare.

Chiudo riportandovi le dediche dei due romanzi che, con il senno di poi, raccontano tantissimo del senso di ciò che è contenuto nelle pagine successive.

“Questo libro è per chi è rimasto folgorato dal tramonto sulle rocce cangianti del canyon, per chi ogni tanto si concede una sigaretta immaginaria, per Mildred Hayes che scioglie il dolore partendo da Ebbing, e per chi ha capito che molto cose del mondo sono irragionevoli ma vanno accettate senza farsi più domande”.

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“Questo libro è per chi si è imbarcato in un lungo viaggio senza controllare il meteo, per chi aspetta Godot e non ha idea di chi sia, per chi riesce a volare di notte ma di giorno non ancora, e per chi ha deciso di prendersi cura di qualcuno e ha trovato tra le sue piccole braccia un’improvvisa oasi di salvezza”.

5) SCRITTORI E AMANTI di Lily King

Dopo un inizio diffice, il romanzo mi ha preso benissimo e sono riuscita a fare pace con la protagonista e la lagnosità che si trascina per tutto il libro.

Al di là della storia in sé, abbastanza classica (Casey, trentenne, aspirante scrittrice in lutto per la perdita della madre, si barcamena tra il lavoro di cameriera per mantenersi e le relazioni amorose con due uomini completamente differenti tra loro, lo sconforto e la sensazione di totale fallimento, e blablabla), è lo stile di scrittura che mi ha colpito tantissimo. La King scrive in un modo diverso dal solito, molto diretto e semplice.

La storia è ambientata principalmente a Boston, dove Casey torna dopo diversi anni trascorsi in Europa. E’ stato particolarmente emozionante ritrovare le famose oche di Cambridge che abbiamo incontrato anche noi passeggiando per la cittadina universitaria e che con cui la protagonista sembra avere un feeling emotivo molto forte.

Questi, di seguito, uno dei passaggi sul tema, forse il più significativo.

“Quando voleranno via, sentirò la loro mancanza. Io non ci sarò. Il chiacchiericcio svelto, elettrico; le ali finalmente aperte, i piedi raccolti dietro. Decollo. Mi mancherà. Sarò in classe o alla mia scrivania o a letto quando passeranno nel cielo.

<<Vorrei che partissero adesso>>.

<<Lo so>>, dice Silas. <<Partiranno quando saranno pronte>>.

C’era un libro, in una biblioteca, che diceva che certe oche del Canada riescono ad arrivare addirittura nel Jalisco, in Messico. A mia madre piacerà, il lungo viaggio inebriante, l’atterraggio in una terra straniera.

Invece altre, diceva il libro, per l’inverno restano dove si trovano. Loro sono già a casa”.

Consiglio la lettura di questo romanzo così come consiglio un giretto a Boston, se ancora non lo avete mai fatto. Dicono sia la città più “acculturata” degli States e potrebbe essere. Sicuramente è la prima che ho visto, a cui sono rimasta legata in modo indissolubile e che sogno di visitare nuovamente con l’occhio e l’atteggiamento da “seconda volta”.

6) REYKJAVIK CAFE di Solveig Jonsdottir

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Chissà perché, quando penso all’Islanda la immagino come un luogo super esotico nella sua nordicità e lo stesso vale per i suoi abitanti. Quelle distese infinite di nulla cosmico, disseminate di cascate, vulcani, spiagge nere e cavalli selvatici cozza incredibilmente con la possibilità che gli islandesi possano vivere una vita come quella che viviamo noi sul continente. Leggere le vicende delle quattro protagoniste del romanzo di Jonsdottir e delle loro scalcagnate vite amorose, familiari e lavorative mi ha restituito la consapevolezza che in realtà siano più i punti comuni che le differenze tra noi e loro. Le ragazze, quattro trentenni, sono alle prese con i tanti e identici problemi che nella parte nord occidentale del Mondo conosciamo un po’ tutti.

Reykjavik è raccontata attraverso i luoghi vissuti dai personaggi della storia e appare come una città stimolante e da scoprire. Le vicende si svolgono in gennaio, nel freddo inverno del Nord, nella poca luce del sole, nella necessità di coprirsi bene e riscaldarsi davanti a una tazza di caffè.

“Il buio di gennaio opprimeva ogni cosa. Compatto e nero, sembrava risucchiare la voglia di vivere dell’intera nazione. Era il periodo in cui la gente si chiedeva a chi fosse venuto in mente di voler abitare proprio lì, in quel paese, e non in Spagna o in qualche isola greca. Ma discorsi del genere venivano dimenticati in fretta non appena la luminosa notte estiva regnava per svariati mesi e l’Islanda tornava a essere il posto migliore del mondo”.

L’Islanda è sicuramente un’isola da scoprire per le sue bellezze naturali e i suoi paesaggi mozzafiato, ma questo libro mi ha fatto venire un’immensa voglia di visitare la città esattamente come farei per una qualsiasi altra capitale europea, a prescindere dai suoi dintorni e dal classico on the road generalmente scelto come meta preferita dei turisti e viaggiatori che si recano nel Paese. Ho anche seriamente pensato di prenotare un week end lungo per passarci qualche giorno.

Aggiungo, e non c’entra nulla con la location, che i richiami ad alcuni brani rock di autori come Dylan, Young e gli Zeppelin (tra gli altri) rendono ancora più coinvolgente la lettura. Sono andata a risentirmi tutti i pezzi e wow! Una delle protagoniste ha un rapporto molto stretto con la musica, la stessa che amo e ascolto anche io, e ho adorato alcuni passaggi in cui questo aspetto emergeva fortissimo.

“Si versò un altro bicchiere e canticchiò la canzone che le andava di sentire mentre la cercava nella mendola dei cd, ed emise un urlo di gioia quando finalmente trovò il disco e si fermò un attimo ad ammirare la pettinatura di Kim Carnes in puro stile anni Ottanta sulla custodia. Quando le prime note di Bette Davis Eyes risuonarono per l’appartamento lei chiuse gli occhi e mormorò il testo immedesimandosi con passione. Cominciò a fare i primi passi di danza e inavvertitamente verso per terra del liquido dal bicchiere che teneva in mano, ma non le importava affatto”.

Bene, ho concluso la carrellata sui libri del 2021 e già ne ho letto qualcuno che probabilmente finirà nell’articolo del prossimo anno. Se anche voi avete qualche romanzo da suggerire che vi ha entusiasmato anche per le location di ambientazione, i consigli letterari e quelli di viaggio non bastano mai.

Viaggiatrice povera, fotografa inesperta, pasticciona tecnologica, gattodipendente. Rifletto sul senso della vita e raccolgo dettagli che fanno la differenza. Ricordi, impressioni, immagini, incontri.

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